venerdì, settembre 30, 2016

Romano Guardini (1885-1968), La tecnica e l'uomo. Dalla nona lettera dal Lago di Como (1925)

La questione che mi tormentava era questa: è ancora possibile, in mezzo a tutto ciò che accade, un tipo di vita che sia completamente imperniato sulla natura dell'uomo e sull'opera dell'uomo? 



Il vecchio mondo sta crollando, e intendo la parola «mondo» nella sua più ampia accezione e cioè comprendendo in essa le opere, le istituzioni, le organizzazioni e le attitudini di vita. La metà del secolo scorso segna la linea di divisione della storia (sebbene, naturalmente, le radici degli avvenimenti di allora siano da ricercarsi molto più addietro nel tempo). A quel mondo antico apparteneva una figura umana ben definita, universale, nonostante le molte e notevoli differenze. Questo tipo universale era sostenuto dall'uomo e, nella stesso tempo, gli serviva di sostegno. L'uomo stesso l'aveva creato e viveva in esso. Lo teneva, palpitante di vita, nella sua mano; era, contemporaneamente, la sua opera e la sua espressione, il suo oggetto e il suo strumento. Ciò era cultura e tutta la vera cultura che oggi ancora possediamo deriva di là. 



In seguito si manifestano fatti nuovi: le cose tendono a non aver più lo stesso carattere, la stessa misura, a mutare il loro punto di partenza e i loro fini. Altre sono le forze che le muovono; le loro relazioni con la natura non sono più quelle di prima. Al contatto con il «fatto nuovo» che si introduce nella storia, tutto l'antico ordine di cose si sgretola. L'uomo che gli apparteneva e del quale noi tutti portiamo, più o meno, qualcosa nel sangue, diventa un senza patria. Dirò di più: egli si riduce in se stesso poiché il mondo ora in procinto di scomparire non esisteva che in virtù di lui ed egli, a sua volta, non esisteva che per mezzo di questo mondo. Il fatto nuovo non è penetrato come elemento di rottura soltanto nell'ordine obiettivo, in quanto frutto di una cultura obiettiva, ma anche e soprattutto nell'essere umano vivente. La comparsa della tecnica è prima di tutto un fenomeno che ha intaccato l'intimo dell'uomo. Per questo ci troviamo nella condizione di senza patria, per questo ci siamo ridotti in uno stato di barbarie. Per lo meno, le cose stanno così se osserviamo noi stessi partendo dall'«antico», poiché questo passato sente sfasciarsi il suo mondo e insieme con quello sente andare in rovina se stesso. E le cose stanno veramente così, se consideriamo le realtà nuove che ci pervengono, che arrivano in noi e al di fuori di noi, poiché tutto — almeno finora — è caos. 

Dunque, in quanto la questione, coscientemente o incoscientemente, fa derivare l'idea dei valori umani dall'antico tipo di umanità, la risposta da darle dovrebbe essere un rifiuto categorico. Tutto ciò che vi è di nuovo toglie all'uomo dell'antica cultura la possibilità di essere. Si potrà cercare di attenuare gli effetti di questa evoluzione ma non la si potrà arrestare. 


Qui è bene approfondire questo pensiero: se oggi abbiamo l'impressione di trovarci di fronte a una distruzione, è perché un essere e un fatto di tipo nuovo sono penetrati, modificandola brutalmente, nell'antica immagine del mondo e dell'uomo. Questo elemento nuovo opera in maniera distruttiva perché incontra un uomo che non è fatto per lui. 



Più precisamente: è caotico e agisce da distruttore perché l'uomo idoneo a vivere insieme a lui non esiste ancora. Questo «nuovo» esercita un'azione distruttiva perché non si è ancora riusciti a renderlo umano. È un assalto di forze rese libere che non sono state ancora domate; materie prime che non sono state ancora selezionate, che non sono state ancora portate a una forma spirituale vivente, che non sono ancora alla portata umana. Ora il farsi padrone di queste materie prime e di queste forze, il raccoglierle, il dar loro una forma, il metterle in rapporto, tutto ciò per cui si crea un «mondo», una «cultura», non è in potere dell'uomo che faceva parte di quel mondo antico al quale si era conformato. Gli mancano, per essere all'altezza di tutto ciò, la scala delle misure, l'immagine anticipatrice, la forza. Restando fermi sul campo anticamente occupato, la battaglia per la cultura vivente sarebbe perduta e da questo passato non ci potremmo attendere altro se non una profonda confusione. La lotta potrà essere ripresa soltanto su un altro piano. Il mondo della tecnica e le sue forze scatenate non potranno essere dominati che da un nuovo atteggiamento che ad esse si adatti e sia loro proporzionato. L'uomo è chiamato a fornire una nuova base di intelligenza e di libertà che siano, però, affini al fatto nuovo, secondo il loro carattere, il loro stile e tutto il loro orientamento interiore. L'uomo dovrà porre il suo vivo punto di partenza, dovrà innestare la sua leva di comando là, dove nasce il nuovo evento. Ma questo «nuovo» è costituito solo da modificazioni entro un contesto di fondamenti permanenti o, al contrario, possiamo scorgere in esso il segno di un rinnovamento storico? 



In caso valga quest'ultima ipotesi - e sono convinto che essa sia quella giusta - dobbiamo darle la nostra adesione. Conosco il prezzo di questo consenso. Coloro che ingenuamente hanno già optato per il nuovo e coloro ai quali son facili i rapidi mutamenti di orientamento tacceranno le riflessioni esposte in queste lettere di romanticismo retrogrado, di asservimento al passato. Di buon grado lasciamo loro l'occasione di compiacersene soddisfatti. Noi però osserviamo che si può aderire ai fatti della storia con libera scelta, con una vera e propria decisione: perché essa proviene da un cuore che sa. E ciò ha il suo peso. Il nostro posto è nel divenire. Noi dobbiamo inserirvici, ciascuno al proprio posto. Non dobbiamo irrigidirci contro il «nuovo», tentando di conservare un bel mondo condannato a sparire. E neppure cercare di costruire in disparte, mediante una fantasiosa forza creatrice, un mondo nuovo che si vorrebbe porre al riparo dai danni dell'evoluzione. A noi è imposto il compito di dare una forma a questa evoluzione e possiamo assolvere tale compito soltanto aderendovi onestamente; ma rimanendo tuttavia sensibili, con cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso. Il nostro tempo è dato a ciascuno di noi come terreno sul quale dobbiamo stare e ci è proposto come compito che dobbiamo eseguire. 




E, in fondo, noi non vogliamo che sia altrimenti. Il nostro tempo non è una via sulla quale dover procedere, esteriore a noi stessi. Noi stessi siamo il nostro tempo! Nostro sangue e nostra anima, questo è il nostro tempo. Siamo in rapporto col tempo come lo siamo con noi stessi, lo amiamo e lo lodiamo in un medesimo sentimento. E ciascuno sta in rapporto al tempo secondo la propria attitudine: irriflessivo se è irriflessivo verso se stesso, risoluto, se tale è verso se stesso. 




Noi amiamo la forza intensa di questo tempo e la sua volontà di assumere le proprie responsabilità. Amiamo la risolutezza con cui affronta i rischi delle soluzioni estreme. La nostra anima non rimane insensibile davanti allo spettacolo di valori che cercano di farsi strada e di affermarsi. Noi proviamo commozione per tutto ciò pur avvertendone il lato discutibile, pur restando ancora sensibili alla deliziosa attrattiva del passato. Bisogna aver lucidamente considerato ciò che si sta per intraprendere, se si vuol trovar la forza di sacrificare con cuore saldo l'indicibile nobiltà del passato. 



E neppure si deve pensare che questa evoluzione sia anticristiana. Tale può essere, talvolta, la mentalità che le presiede, ma non l'evoluzione in se stessa. Anzi, la scienza, la tecnica e tutto ciò che da esse deriva sono state rese possibili soltanto per mezzo del Cristianesimo. Solamente un uomo, la cui anima si sapeva salva per la presenza immediata di Dio e per la dignità del Battesimo, un uomo giunto così alla convinzione di essere diverso da tutto il resto della natura, poteva rompere il legame che ad essa lo univa: il che è proprio ciò che ha fatto l'uomo dell'epoca della tecnica. L'uomo dell'antichità vi avrebbe intravisto una àâñéò dalla quale doversi allontanare con orrore. Soltanto l'uomo al quale la unione con Dio ha conferito il senso dell'assoluto, al quale le parabole del tesoro nel campo, della perla preziosa e l'insegnamento della necessità di perdere la propria vita hanno fatto apprendere l'esistenza di qualcosa per la quale si deve rinunciare a tutto il resto - solamente quest'uomo ha saputo essere capace di una decisione così estrema com'è, appunto, quella che informa la scienza moderna, la quale vuole la verità anche se questa verità abbia a rendere la vita impossibile; di una decisione che anima la tecnica la quale vuole l'opera e dovrebbe, mediante una trasformazione del mondo, coinvolgere tutta l'esistenza umana. Soltanto un uomo che ha attinto dalla fede cristiana nella vita eterna l'incrollabile certezza che il suo essere è indistruttibile, ha potuto trovare in se stesso la fiducia indispensabile a una tale impresa. Ma, veramente, le forze di cui parliamo sono sfuggite dalla mano della personalità vivente, o si dovrebbe dire piuttosto che è la mano che non le ha più sapute trattenere? Che se le è lasciate sfuggire? E che per questo esse sarebbero cadute sotto il giogo demoniaco del numero, della macchina, della volontà di potenza?... 

Per poter renderci padroni del «nuovo», dobbiamo in giusto modo penetrarlo. Dobbiamo dominare le forze scatenate onde farle attendere alla elaborazione di un ordine nuovo, che sia riferito all'uomo. Ma, in ultima analisi, questa opera non può compiersi ove si prendano come punto di partenza i problemi tecnici; essa è resa possibile solo partendo dall'uomo vivente. Si tratta, è vero, di problemi di natura tecnica, scientifica, politica; ma essi non possono essere risolti se non procedendo dall'uomo. Deve formarsi un nuovo tipo umano, dotato di una più profonda spiritualità, di una libertà e di una interiorità nuove, di una capacità di assumere forme nuove e di crearne. La sua costituzione dev'essere tale, che debba trovare il mondo nuovo già nelle fibre del suo essere e nella forma stessa della presa con cui ne afferra le strutture. Per imponente che sia la mole del sapere accumulato, per quanto gigantesco sia l'apparato economico e politico, per quanto potente sia la tecnica, tutto ciò non rappresenta ancora nient'altro che pura materia prima, se misurato col metro di una scienza, di una economia, di una politica e di una tecnica viventi. Non abbiamo bisogno di ridurre la tecnica, ma, al contrario, di accrescerla. O meglio: ciò che ci occorre è una tecnica più forte, più ponderata, più «umana». Ci occorre più scienza, ma che sia più spiritualizzata, più sottomessa alla disciplina della forma; ci occorre più energia economica e politica, ma che sia più evoluta, più matura, più cosciente delle proprie responsabilità, che discerna il particolare nei complessi di cui esso fa parte. Ora, tutto ciò sarà possibile soltanto quando l'uomo vivente farà risaltare se stesso nell'ambito della natura delle cose, quando riferirà questa natura a se stesso e potrà così creare a nuovo un «mondo». 


Questo «mondo» dobbiamo estrarlo da un immenso accumulo di forze e di sostanze di ogni genere. Una volta l'uomo aveva come primo obiettivo quello di affermarsi di fronte alla natura che lo minacciava da ogni parte, perché egli non l'aveva ancora dominata, ed era quindi per lui soltanto caos. 


Così si cominciò ad osservare il comandamento: «Lavorate la terra e fate che essa vi sia sottomessa». Il caos - «caos» dal punto di vista dell'uomo - prese forma e divenne il mondo dell'uomo. Via via che ciò andava attuandosi, ossia man mano che l'uomo entrava in possesso della terra e si affermava contro di essa e in essa, egli liberava proprio con la sua stessa azione forze nuove, non ancora soggiogate dalla sua attitudine personale e dalla forma del mondo novellamente creato. Queste forze andarono crescendo e oggi, scatenate, hanno provocato un nuovo caos. Nella parabola della storia siamo ritornati esattamente al punto in cui si trovò l'uomo primitivo quando ebbe da affrontare il suo primo compito, quello di creare un «mondo». Siamo di nuovo minacciati da tutte le parti da un caos che, questa volta, noi stessi abbiamo provocato. 


In primo luogo, dunque: bisogna dire «sì» al nostro tempo. Il problema non sarà risolto con un tornare indietro, né con un capovolgimento o con un differimento; e neppure con un semplice cambiamento o miglioramento. Si avrà la soluzione soltanto andandola a cercare molto in profondità. 


Dev'essere possibile inoltrarsi nella via della presa di coscienza, sino a giungere alla mèta, per moto interiore e non per pressioni o limitazioni esteriori. E deve essere possibile, nello stesso tempo, conseguire una nuova sicurezza interiore, che non sia legata a quanto va consumato ed arso in quella presa di coscienza; un atteggiamento di rispetto che sostenga questo nuovo sapere; una ingenuità nuova nella coscienza; una capacità di credere, anche nella scepsi. 


Deve essere possibile lasciar cadere le illusioni e veder tracciati rigorosamente i limiti della nostra esistenza, ma acquisire, nel contempo, una nuova infinità avente la sua origine nello spirito. 


Deve essere possibile risolvere il problema del dominio sulla natura nella misura che si è mostrata; ma, nello stesso tempo, dare all'anima una nuova sfera di libertà, restituire alla vita una inesauribile sicurezza in se stessa e acquistare un atteggiamento, una mentalità, un nuovo ordine per valutare in maniera vivente il sublime e l'abbietto, il lecito e l'illecito, la responsabilità, i limiti, ecc., superando il pericolo derivante dalle forze naturali sbrigliate al loro arbitrio, capaci di ogni distruzione. 


Deve essere possibile veder scomparire l'antica aristocrazia del piccolo numero e accettare il fatto della massa, quel fatto per cui ciascuno di questa folla di individui ha diritto alla vita e ai beni; ma articolare, nello stesso tempo, la massa in se stessa e giungere ad una nuova gerarchia del valore e dell'essere umano. 


Deve essere possibile seguire la tecnica nella strada su cui essa persegue uno scopo che abbia veramente un significato, permettere alle forze di tale tecnica di sviluppare tutto il loro dinamismo, anche se ciò dovesse sconvolgere l'antico ordine con le sue strutture; ma, nello stesso tempo, creare un ordine nuovo, un nuovo cosmo che dovrà sortire da una umanità portatasi a livello di queste forze. 



da Lettere dal Lago di Como. La tecnica e l'uomo , tr. it. di Giulietta Basso, Morcelliana, Brescia 19932 , pp. 92-100. 









mercoledì, settembre 28, 2016





Credo in Deum patrem omnipotentem
Et in Christum Iesum, filium Dei.
Qui natus de Spiritu Sancto ex María Virgine
Et crucifixus sub Pontio Pilato et mortuus est et sepultus,
Et resurrexit die tertia vivus a mortuis,
Et ascendit in caelis,
Et sedit ad dexteram patris,
Venturus iudicare vivos et mortuos
Et in Spiritum Sanctum et sanctam ecclesiam,
Et carnis resurrectionem.

giovedì, settembre 15, 2016

Un apunte sobre la esencia de la religión a partir de la esencia del cristianismo

Un apunte sobre la esencia de la religión a partir de la esencia del cristianismo: Si se pregunta a bocajarro en qué consiste el cristianismo (como a los rabinos célebres de la Mishná les preguntó un curioso por la esencia de la Torá, pero exigiendo que la respuesta no durara más que el tiempo en que él fuera capaz de sostenerse a la pata coja), habrá que decir: Consiste en …

martedì, luglio 05, 2016

Orazione

È un'orazione anche questo incresparsi
Di albe , di piume, di panni stesi
Di nebbia,
Ogni tuo respiro,
L'estinzione dei versanti,
Il rovescio di pioggia
Sul bosco stremato
E il disperdersi del ricordo
Di tutti questi doni.

genseki

Madre della gloria



Omelia per la dormizione della Vergine Maria

Oggi entra nelle sublimi regioni, oggi si presenta nel tempio celestiale l'unica Vergine santa, colei che con tanto sforzo coltivó la verginitá che giunse a posssederla nello stesso grado che il fuoco piú puro, posto che, mentre tutte le donne la perdono nel dare alla luce, Ella restó vergine prima del parto, durante il parto e dopo il parto.

Oggi l'arca viva consacrata al Dio vivente, Colei che portó in seno il suo proprio Artefice, riposa nel tempio del Signore, tempio non edificato da mani umane.

Danza Davide suo antenato e avo di Dio e con lui formano un coro gli angeli, applaudono gli arcangeli, celebrano le virtú, esultano i principati, si dilettano le dominazioni, si rallegrano le potestá, fanno festa i troni, i cherubini cantano lodi e annunciano la sua gloria i serafini. E non è un onore di poca importanza, posto che glorificano la madre della gloria.

Oggi la santissima colomba, l'anima semplice e innocente consacrata allo Spirito Santo, uscí volando dall'arca, ovver dal corpo che aveva generato Dio e gli aveva dato la vita, per riposare ai suoi piedi, essendo giunta al mondo intellegibile fissó la sua sede nella terra dell'ereditá suprema, quella terra in cui non si trova nessuna impuritá.

Oggi il Cielo si apre al Paradiso spirituale del nuovo Adamo nel quale siamo liberati dalla condanna, in cui è piantato l'albero della vita, coperta la nostra nuditá. Ormai non ci mancano gli abiti, non siamo privati dello splendore dell'immagine divina, non siamo spogliati della copiosa grazia dello Spirito. Ormai non ci lamentiamo piú della nuditá antica, dicendo: mi hanno tolto la tunica, come potró ponermela? Nel primo Paradiso fu aperta l'entrata al serpente, mentre noi, per aver ambito la falsa divinitá che ci prometteva, fummo comparati al bestiame. Il Figlio Unigenito di Dio stesso, che è Dio consustanziale al Padre, si fece uomo originandosi da questa terra purissima che è la Vergine. In questo modo, io che sono solo uomo, ho ricevuto la divinitá, mortale fui rivestito di immortalitá e mi spogliai della tunica di pelle. Rifiutando la corruzione mi sono rivestito di incorrutibilitá, grazia alla divinizzazione che ho ricevuto.

Oggi la Vergine Inmacolata, che non ha conosciuto nessuna delle colpe terrene, ma si è nutrita dei pensieri celestiali, non è tornata alla terra, siccome Ella era un cielo vivente, si trova nei tabernacoli celestiali. Infatti, chi peccherebbe contro la veritá chiamandola cielo? Almeno si puó dire, se si comprende bene quello he signica, che è superiore ai cieli per i uoi incomparabili privilegi. Posto che Colui che produsse e conserva i cieli, l'Artefice di tutte le cose create – tanto delle terrene come delle celestiali, che cadono o no nel nostro spazio visuale, - Colui che non è contenuto in nessun luogo, si incarnó e si fece bambino in Lei senza opera d'uomo, e la trasformó nel bellissimo tabernacolo di questa unica divinitá che contiene tutte le cose, totalmente raccolto in Maria senza soffrire nessuna passione, e allo stesso tempo stando completamente fuori, perché non puó essere contenuto.

Oggi la Vergine, tesoro della vita, abisso della grazia – non saprei come esprimermi con le mie labbra audaci e tremanti – ci viene nascosta da una morte vivificante. Ella che ha generato il distruttore della morte, la vede giungere senza timore, se morte chiamar si puó questa partenza luminosa, piena di vita e di santitá. Colei che ha dato la vita al mondo, come puó sottomettersi alla morte? Ella, peró ha obbedito alla legge imposta dal Signore e, come figlia di Adamo, soffre a sentaza pronunciata contro il adre. Suo Figlio, che è la Vita stessa, non la ha rifiutata, e quindi è giusto che lo stesso accada alla Madre del Dio vivo.
Avendo Dio detto, in relazione al primo uomo: che egli non allunghi la mano all'albero della vita e, mangiando di esso, viva per sempre. Perché non dovrá vivere eternamente colei che generó colui che è la Vita eterna e infinita, quella Vita che non ebbe inizio né fine?
(…) Se il corpo santo e incorruttibile che Dio, in Lei, aveva unito alla sua persona, è resuscitato dal sepolcro il terzo giorno, è giusto che Ella pure fosse sottratta al sepolcro e riunita con suo Figlio. Ê giusto che proprio come Lui era disceso verso di Lei, Ella fosse elevata a un tabernacolo piú alto e prezioso, il cielo stesso.

Conveniva che Colei cha aveva albergato nel suo seno il Verbo di Dio, fosse collocata nelle divine dimore di suo Figlio; cosí come il Signore disse che desiderava stare in compagnia di coloro che appartenevano al Padre, conveniva anche che la Madre abitasse nel palazzo del Figlio, nella dimora del Signre, negli atri della casa del nostro Dio. Dato che se ivi si trova l'abitazione di tutti quelli che vivono in allegria, dove dovrebbe trovarsi chi è la Causa della nostra allegria?

Conveniva che il corpo di colei che aveva conservato la verginitá senza macchia nel parto, fosse conservato dopo la morte.

Conveniva che colei che aveva tenutio in grembo il creatore fattosi bambino abitasse nei tabernacoli divini.

Conveniva che la Sposa eletta dal Padre, vivesse nelle dimore del Cielo.

Conveniva che Colei che contempló suo Figlio sulla Croce, e ebbe il cuore trafitto dal pugnale del dolore che non aveva provato nel parto, lo contemplasse seduto alla destra del Padre.

Conveniva, infine, che la Madre di Dio possedesse tutto quello che il Figlio possedeva e fosse onorata da tutte le creature.

Giovanni Damasceno
trad genseki



giovedì, giugno 30, 2016

Julián Marias

Hay que intentar, si se quiere comprender una filosofía, situarse dentro de ella, de tal manera que al exponerla nos parezca justificada. No es menester —y sería un profundo error— tratar de mostrar la deficiencia o falsedad de una doctrina sin tratar primero de entenderla. Hay que hacer el intento de justificarla, de presentarla desde dentro, no para después salirse de ella y refutarla —palabra antipática si las hay—, sino más bien para seguir dentro de ella y, al intentar tomarla en serio y pensarla a fondo, ver si efectivamente nos lleva a alguna parte o si tropezamos con alguna dificultad que nos obliga a ir más allá.

Julián Marías

Ju



giovedì, giugno 23, 2016

Aleksandr Solzhenitsyn





Ho trascorso tutta la mia vita sotto un regime comunista, e vi diró  che una societá senza alcuna scala legale oggettiva è una realtá terribile. Ma una societá senza nessun'altra scala che quella legale non è neppure degna dell'uomo.

Aleksandr Solzhenitsyn

mercoledì, giugno 22, 2016

Cristeros


Marx






Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile  divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore".

Marx 
Miseria della filosofia 

*

Posto che noi avessimo prodotto come uomini: ognuno di noi avrebbe doppiamente affermato nella propria produzione sé stesso e l'altro. Io avrei 1) oggettivato la mia individualità, la sua peculiarità nella mia produzione e quindi avrei già goduto di un estrinsecarsi individuale di vita nel corso dell'attività, sia nell'osservare l'oggetto avrei provato la gioia individuale di sapere la mia personalità come potenza concreta, sensibilmente contemplabile e quindi elevata sopra tutti i dubbi. 2) nel tuo godimento e nel tuo uso del mio prodotto avrei immediatamente il godimento sia della coscienza di aver soddisfatto nel mio lavoro un bisogno umano, sia di avere oggettivato l'essere umano, e quindi di avere procurato al bisogno d'un altro essere umano l'oggetto ad esso corrispondente, 3) di essere stato per te il mediatore tra te e la specie e quindi di essere saputo e sentito da te stesso come un'integrazione del tuo proprio essere e come una parte necessaria di te stesso, e quindi di sapermi confermato tanto nel tuo pensiero quanto nel tuo amore, 4) di aver creato nella mia estrinsecazione individuale di vita immediatamente la tua estrinsecazione di vita, e quindi di avere confermato e realizzato nella mia attività individuale la mia vera essenza, il mio essere umano e il mio essere comunitario. Le nostre produzioni sarebbero altrettanti specchi nei quali si rifletterebbe luminosamente il nostro essere.

Marx 
Appunti su James Mill

martedì, giugno 14, 2016

Ratzinger

In a 1969 German radio broadcast, Father Joseph Ratzinger said :
Let us, therefore, be cautious in our prognostications. What St. Augustine said is still true : man is an abyss ; what will rise out of these depths, no one can see in advance. And whoever believes that the Church is not only determined by the abyss that is man, but reaches down into the greater, infinite abyss that is God, will be the first to hesitate with his predictions, for this naïve desire to know for sure could only be the announcement of his own historical ineptitude.
If today we are scarcely able any longer to become aware of God, that is because we find it so easy to evade ourselves, to flee from the depths of our being by means of the narcotic of some pleasure or other. Thus our own interior depths remain closed to us.
From the crisis of today the Church of tomorrow will emerge — a Church that has lost much. She will become small and will have to start afresh more or less from the beginning. She will no longer be able to inhabit many of the edifices she built in prosperity. As the number of her adherents diminishes, so it will lose many of her social privileges.
It will be seen much more as a voluntary society, entered only by free decision. As a small society, it will make much bigger demands on the initiative of her individual members.
Undoubtedly it will discover new forms of ministry and will ordain to the priesthood approved Christians who pursue some profession. In many smaller congregations or in self-contained social groups, pastoral care will normally be provided in this fashion.
Along-side this, the full-time ministry of the priesthood will be indispensable as formerly.
But in all of the changes at which one might guess, the Church will find her essence afresh and with full conviction in that which was always at her center : faith in the triune God, in Jesus Christ, the Son of God made man, in the presence of the Spirit until the end of the world.
In faith and prayer she will again recognize the sacraments as the worship of God and not as a subject for liturgical scholarship.
The Church will be a more spiritual Church, not presuming upon a political mandate, flirting as little with the Left as with the Right.
It will be hard going for the Church, for the process of crystallization and clarification will cost her much valuable energy. It will make her poor and cause her to become the Church of the meek.
When the trial of this sifting is past, a great power will flow from a more spiritualized and simplified Church.
Men in a totally planned world will find themselves unspeakably lonely. If they have completely lost sight of God, they will feel the whole horror of their poverty. Then they will discover the little flock of believers as something wholly new. They will discover it as a hope that is meant for them, an answer for which they have always been searching in secret.
And so it seems certain to me that the Church is facing very hard times. The real crisis has scarcely begun. We will have to count on terrific upheavals.
But I am equally certain about what will remain at the end : not the Church of the political cult, which is dead already, but the Church of faith. It may well no longer be the dominant social power to the extent that she was until recently ; but it will enjoy a fresh blossoming and be seen as man’s home, where he will find life and hope beyond death.

mercoledì, giugno 01, 2016

Hans Urs Von Balthasar

Il cristiano che è interrogato e che interroga è più che mai isolato. Finora c’era sempre un punto di contatto per il dialogo religioso, sembrava almeno che ci fosse un fondo comune di certezza, e la discussione riguardava solo diffenze secondarie. La posizione di Paolo sull’areopago, dopo una passeggiata mattutina attraverso i templi ed i santuari di Atene, ci appare addirittura invidiabile. I suoi interlocutori sono ‘religiosissimi’, non solo vedono la divinità in azione dovunque nell’universo, ma non hanno alcuna difficoltà a credere conmaggior o minor sicurezza ogni specie di rivelazioni particolari e riconoscono ilculto, che lo stato decreta loro. Non si tratta più, per cosi dire, che di svelare il ‘Dio ignoto’ e di provare che la sua manifestazione nella morte e risurrezione di Cristo non ha paragone con gli altri.


Oggi si esige che tutti, anche tu che così a lungo, troppo a lungo, hai guardato in direzione di Dio, girino in senso radicalmente inverso: conversione al mondo. Non rientra infatti 1 questo nella tua stessa logica cristiana? I primi discepoli non sono mandati dal loro Maestro in tutto il mondo? Contraddici a te stesso se tu solo, mentre tutti guardano in avanti, guardi fisso all’indietro.

Il cristiano si guarda attorno in cerca di aiuto; ciò che una volta lo avvolgeva come un abito che forniva protezione e calore è scomparso ed egli si sente penosamente nudo. Si sente come un fossile di epoche tramontate.

Da: "Chi è il cristiano?"



lunedì, maggio 30, 2016

La Coscienza

Dal testo di Romano Guardini: La coscienza


Abbiamo dimenticato che quanto riflette lo spirito è di una nobiltà molto esigente e che il comprenderlo è possibile solo a certe condizioni. Che i diversi interessi del mondo spirituale esigono di volta in volta un diverso modo diparlare e di ascoltare; richiedono uno spazio interiore diverso, nel quale possano svolgersi questo parlare e questo ascoltar

Il bene non diventa realtà, se non lo attuo.

Il bene non è una legge morta. È la vita infinita che vuol essere inserita in questa realtà. Nella sua pura essenza questa vita è per noi inesprimibile; appunto perché è infinita e nello stesso tempo semplicissima. Ma essa vuole assumere una figura terrena, umana. È ciò che avviene nell’azione morale. L’attività morale ha in sé qualche cosa di misterioso

Nell’attività morale si tratta di render reale, umanamente reale quello che ancora non lo è. Si tratta di dar forma terrena a qualche cosa di eterno e di infinito.


Ma poi, con le opere, dobbiamo trasfondere il bene nella realtà, altrimenti esso resta aspirazione infeconda. Bisogna che ne imprimiamo la forma nella materia nella realtà che ci circonda: nella situazione. Ciò vuol dire che dobbiamo afferrare ciò che è nuovo; quello che qui mi sta attorno: uomini, avvenimenti, cose, circostanze. Tutto ciò arriva, diviene, si articola, qui, adesso - e in questo momento bisogna che lo afferri. Devo vedere: che cosa importa per me tutto questo che mi circonda? A quali cose devo rivolgere il mio sguardo? Il mio giudizio? Che cos’è qui il bene? Vedere, giudicare, deliberare, fare tutto ciò;chiaramente, magnanimamente, ponderatamente, risolutamente; con atto energico e netto, che abbia sangue e colore, lo slancio del cuore e la sicurezza della mano -questo significa fare il bene. Agire moralmente significa quindi creare qualche cosa; non in pietra o in colore o in suono, ma nella materia reale della vita.

La vita morale è disertata su larga scala. Le forze creatrici si sono trasferite al servizio di un’arte raffinata, di un’attività politica sfrenata, di un’economia pura o di qualsiasi altra cosa. È tempo che riconosciamo di nuovo che l’attività morale è una creazione e vi convogliamo di nuovo le vive energie morali.


Così la coscienza è anche la porta, per la quale l’eterno entra nel tempo. È la culla della storia. Solo dalla coscienza sgorga «storia», la quale significa ben altro che non un processo naturale. Storia significa che, in seguito a libera opera umana, qualche cosa di eterno entra nel tempo.

Ogni situazione si presenta una unica volta. Per cui anche quello che deve avvenire in essa non è mai avvenuto e non tornerà più. Bisogna dunque che venga divinato e plasmato per la prima volta.

La coscienza è dunque l’organo per l’eterna esigenza del bene, che deve venir attuato: la coscienza è per l’uomo come una finestra aperta sull’eternità. Una finestra però che allo stesso tempo dà anche sul coro so del tempo e sugli avvenimenti quotidiani. La coscienza è l’organo, che trae l’interpretazione del comandamento del bene, eterno e sempre nuovo, dai fatti concreti; l’organo col quale sempre di nuovo si riconosce in qual modo il bene eterno ed infinito debba venir attuato nella specificazione del tempo. È un obbedire e al tempo
stesso un creare; un comprendere e un giudicare; un penetrare e un decidere.


Da questa prigionia in me stesso io mi libero soltanto se trovo un punto, che non sia il mio «io»; una «altezza al di sopra di me». Un qualche cosa di solido e operante che si affermi nel mio interno. Ed eccoci arrivati al nocciolo della nostra odierna considerazione, cioè alla realtà religiosa.
Quel «bene», del quale abbiamo parlato, che cos’è veramente?
Non una «legge», che penda affissa da qualche parte. Non una semplice idea.
Non un concetto campato in aria. No, esso è qualche cosa di vivo. Diciamolo senz’ambagi: è la pienezza di valore dello stesso Dio vivente. La santità del Dio vivente: ecco il bene.



Mi ricordo ancora il luogo, ove un bel mattino mi si affacciò questo concetto così semplice e pur così celato e sottile: Quando io dicessi: «l’amore»... e questo amore divenisse pieno e perfetto in forza, in purezza, in misura, in durata e profondità e quanto al suo oggetto; ed ora, assolutamente pieno e perfetto incominciasse ad esistere in sé, divenisse persona; diventasse l’amore stesso per essenza - che sarebbe questo amore? il Dio vivente! Questa intuizione mi rese raggiante di gioia!... Il valore, la fedeltà, l’onore, la bontà, la giustizia, la misericordia... in una parola: «il bene», nella sua infinitezza e nella sua pura semplicità - tutto ciò è la santità vivente di Dio e nient’altro.


La coscienza è l’organo per il bene; ed è l’organo per Iddio.


Inderogabile ed essenziale caratteristica della legge morale si è che mi «venga incontro»; che non sia dunque per me l’«io» stesso.

Là, dove il nostro essere confina, quasi a dire, col nulla, sta la mano di Dio e ci regge. Là egli ci parla. Non come una forza indeterminata o una semplice legge. Non come alcunché di impersonale, ma come un «io», al quale è possibile rispondere con un «tu». Dio parla dunque dentro di noi. Ma questo stesso Dio è il Creatore e il Signore del mondo.

Ovunque viva un uomo, ivi, in lui, è il centro del mondo.

L’uomo non ha soltanto un’essenza, comune a tutti i suoi simili; egli ha di più.
L’essenza dell’uomo porta in ogni singolo l’impronta terminale di unicità: è «nome». Tutte le altre cose si trovano già nel tipo della specie. L’uomo solo è a priori «singolo». Ma lo è, perché ha rapporto immediato con Dio. Tutte le cose del mondo sono intrecciate nel contesto dell’universo e negli ordinamenti della specie; e anzi, in misura totale. Anche l’uomo vi è inserito, ma solo con una parte del suo essere.


L’uomo dunque non ha soltanto un’essenza determinata, ma porta anche un nome. L’atto divino della creazione, dal quale ho ricevuto la mia realtà, fu un atto di denominazione.

Non sono soltanto individuo, ma anche persona. Non porto in me soltanto un’essenza generica, ma un’essenza che ha l’impronta dell’unicità: porto un nome. Questo nome l’ho da Dio. Sono nel mondo, ma non mi confondo con esso. Con ciò che ho di intimo vengo immediatamente da Dio e sto in rapporto diretto con Lui. Egli mi ha creato come questa determinata persona. Questo nome che mi ha imposto non è racchiuso nella natura generica «uomo». Non si sperde nell’articolazione dell’universo, e Dio solo lo sa. Perciò io posso conoscere il mio nome, conoscere cioè quello che ho di più mio, solo ricavandolo di là, dove è custodito, cioè da Dio. I vari strati del mio essere possono essere portati alla condizione di realtà cosciente con maggiore o minore facilità. Quanto più nobili e più profondi, tanto più difficilmente. L’ultimo diventa reale soltanto nell’incontro con Dio.

Così pregava Newman: «Ho bisogno che Tu m’istruisca, giorno per giorno, su ciò che è l’esigenza e la necessità di ogni giorno. Concedimi, o Signore, la chiarezza della coscienza, la quale sola può sentire e comprendere la Tua ispirazione. I miei orecchi sono sordi; non so percepire la Tua voce. I miei occhi sono offuscati; non so vedere i Tuoi segni. Tu solo puoi affinare il mio orecchio, acuire il mio sguardo e purificare e rinnovare il mio cuore. Insegnami a star seduto ai Tuoi piedi e a prestar ascolto alla Tua parola. Amen».

La forma più ovvia del raccoglimento sarebbe certo l’ordine. Ordine della vita e del lavoro quotidiani, degli oggetti in camera e in casa, delle occupazioni nel corso della giornata e dei giorni; della lettura, dei pensieri e così via.
L’ordine raccoglie.

Raccoglimento significa qui che sappiamo, una buona volta, non tanto fare, quanto vivere. Avere un’esistenza tranquilla. Un’esistenza piena, libera dall’ossessione del fare e del volere.
Noi tendiamo sempre ad una mèta, poi ad un’altra ulteriore, e cosi di seguito. Sempre verso qualche cosa che non esiste. Sbrighiamo una cosa e la gettiamo dietro le spalle. Viviamo gli avvenimenti, rapidamente e già essi non sono più.
Cosi viviamo sempre scivolando fra quello che non è più e quello che non è ancora.
Raccoglimento significa qui creare il presente, sostare e divenir presenti.



martedì, maggio 24, 2016

Wendell Berry

Dai miei anni di collegio e dalle mie letture venni a conscenza dei diversi nomi che alla fine di una serie di domande o in periodi di sconcerto sono attribuiti a Dio: la prima causa, il primo mobile, la forza vitale, la mente universale, il princpio primo, il motore immobile, la provvidenza, Io stesso ho usato questi nomi discutendo con altri o con me stesso o cercando di darmi una spiegazione.
Ora posso dire che tutti questi nomi non spiegano nulla. Non sono di maggior utilitá che evoluzione o selezione naturale o Big Bang. Quello che questi nomi fanno è avvolgerci con la lunghezza e la profonditá dei nostri stessi pensieri e aspirazioni., Penso che ho conosciuto la tentazione della semplice ragione, di credere solo in quanto si puó provare, fino a che non avanzai la supposizione che non si trattase dei nomi veri.

Ho immaginato che il vero nome possa essere Padre e ho immaginato che cosa implica: l'amore, la compassione, l'offesa, la ferita, la delusione, la rabbia,, le lacrime, il perdono, la sofferenza fino alla morte. Se il mio amore potrebbe spingere il mio pensiero oltre il limite del mondo e del tempo, potrei forse non comprendere come la divina onnipotenza possa essere scagliata in questo mondo dalla stessa forza del suo amore? Potrei forse non vedere come egli puó, volendo conoscere la sua creatura per compassione soltanto, prendere carne mortale, divenire uomo, camminare tra di noi, assumere la nostra natura e il nostro destino, la sofferenza, la debolezz e la nostra morte?

Potrei immaginare un padre che è un poco come la chioccia che distende le ali prima della tempesta o al crepuscolo prima della notte sui piú piccoli di Port Williams perché vengano a ripararsi, alcuni accorrono, altri no. Posso immaginare Port Williams cavalcare la sua onda nel tempo, sotto il cielo, le sue fiammlele che risplendono, escono fuori mentre le sue vite attraversano nascita, piacere, dolore, morte. Posso immaginare Dio che guarda giú, verso di loro, verso le loro vite che vivono nel suo spirito, che respirano per il suo respiro, che conoscono grazie alla Sua luce, ma vivono la loro vita, (inevitabilmente) ognuno secondo la sua volontá. Il Suo corpo dato per essere spezzato.

Wendell Berry

trad. genseki

giovedì, maggio 19, 2016

Elisa, vita mia

   ¿Quién me dijera, Elisa, vida mía,
      cuando en aqueste valle al fresco viento
      andábamos cogiendo tiernas flores,
      que había de ver, con largo apartamiento,
 5-  venir el triste y solitario día
      que diese amargo fin a mis amores?
              

Garcilaso de la Vega

mercoledì, maggio 18, 2016

Il giardino di Asolo

Era questo giardino vago molto e di maravigliosa bellezza; il quale, oltre ad un bellissimo pergolato di viti, che largo e ombroso per lo mezzo in croce il dipartiva, una medesima via dava a gl'intranti di qua e di là, e lungo le latora di lui ne la distendeva; la quale, assai spaziosa e lunga e tutta di viva selce soprastrata, si chiudeva dalla parte di verso il giardino, solo che dove facea porta nel pergolato, da una siepe di spesissimi e verdissimi ginevri, che al petto avrebbe potuto giugnere col suo sommo di chi vi si fosse accostar voluto, ugualmente in ogni parte di sé la vista pascendo, dilettevole a riguardare. Dall'altra onorati allori, lungo il muro vie più nel cielo montando, della più alta parte di loro mezzo arco sopra la via facevano, folti e in maniera gastigati, che niuna lor foglia fuori del loro ordine parea che ardisse di si mostrare; né altro del muro, per quanto essi capevano, vi si vedea, che dall'uno delle latora del giardino i marmi bianchissimi di due finestre, che quasi ne gli stremi di loro erano, larghe e aperte, e dalle quali, perciò che il muro v'era grossisimo, in ciascun lato sedendo si potea mandar la vista sopra il piano a cui elle da alto riguardano. Per questa dunque così bella via dall'una parte entrate nel giardino le vaghe donne co' loro giovani caminando tutte difese dal sole, e questa cosa e quell'altra mirando e considerando e di molte ragionando, pervennero in un pratello che 'l giardin terminava, di freschissima e minutissima erba pieno e d'alquante maniere di vaghi fiori dipinto per entro e segnato; nello stremo del quale facevano gli allori, senza legge e in maggior quantità cresciuti, due selvette pari e nere per l'ombre e piene d'una solitaria riverenza; e queste tra l'una e l'altra di loro più a drento davan luogo ad una bellissima fonte, nel sasso vivo della montagna, che da quella parte serrava il giardino, maestrevolmente cavata, nella quale una vena non molto grande di chiara e fresca acqua, che del monte usciva, cadendo e di lei, che guari alta non era dal terreno, in un canalin di marmo, che 'l pratello divideva, scendendo, soavemente si facea sentire e, nel canale  ricevuta, quasi tutta coperta dall'erbe, mormorando s'affrettava di correre nel giardino.

Pietro Bembo
Gli Asolani


kenneth Rexroth

Indigeni di camere ammobiliate
le nostre ore miglori le passammo
a spese dei contribuenti
nei parchi pubbllici di quattro cittá
Forese era peggio, il livello,
l'erba ben alimentata, il sollevarsi
ritmico della braccia infantili
una brillante palla rossa che seguiva
una linea di sorrisi
i vestiti dell bambine
come fiori di giacinto
nell'agosto incipiente, le fontane
scoiattoli addomesticati, piccioni
passeri e altre

infinite, memorabili cose.

trad. genseki

martedì, maggio 17, 2016

Blanchot

So - lo so - che colui al quale stavano giá puntando i fucili i tedeschi, che attendevano ormai solo l'ordine finale, sperimentó allora un sentimento di leggerezza straordinario, una specie di beatitudine (non di felicitá, comunque), una allegria ovrana? L'incontro della morte con la morte?
Non cercheró di analizzare in vece sua quasto sentimento di leggerezza. Chissá fu repentinamente invincibile, forsse un sentiment di compassione per l'umanitá sofferente, la fortuna di non essere immortale, di non essere eterno. Da allora fu legato alla morta da una amicizia surretizia.

Blanchot

L'istante della mia morte

Mani

Muovendo le nostre mani unite
oltre il lago, come in volo,
fino al bosco oscuro, sulle cime degli abeti,
appena distinguiamo gli steli delle graminacee
non è che un prato
e noi due distesi -
quando ritornano a posarsi,
intrecciate le nostre braccia
come rami di un vecchio melo -
accarrezzano le nostre ombre
sono le nostre mani
Le carezze di altri.


genseki

Blanchot

Sperimento vivendo un piacere illimitato e proveró morendo una soddisfazione infinita.

Blanchot
La follia della luce
trad genseki

lunedì, maggio 16, 2016

Kenneth Rexroth

Sei mesi eterni come un sogno
cosí impotente...
la tua sosta sulla scala del metro
ondeggi, sorridi e discendi
un istante tra risveglio e risveglio
hai sorriso per ondeggiare ancora
a due isolati da un bulevard nebbioso di Chicago?
Quante dinastie tramontarono nel frattempo?
Quanto tempo impiegó l'altra mano
A compiere il suo periplo?

trad genseki




















,