lunedì, novembre 17, 2014

Papa Benedetto XVI

Ratzinger – In spe salvi


La fede non è soltanto un personale protendersi verso le cose che devono venire ma sono ancora totalmen assenti; essa ci dà qualcosa. Ci dà già ora qualcosa della realtà attesa, e questa realtà presente costituisce per noi una « prova » delle cose che ancora non si vedono. Essa attira dentro il presente il futuro, così che quest'ultimo non è più il puro « non-ancora ». Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura, e così le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in quelle future.


*

La fede conferisce alla vita una nuova base, un nuovo fondamento sul quale l'uomo può poggiare e con ciò il fondamento abituale, l'affidabilità del reddito materiale, appunto, si relativizza. Si crea una nuova libertà di fronte a questo fondamento della vita che solo apparentemente è in grado di sostentare, anche se il suo significato normale non è con ciò certamente negato. Questa nuova libertà, la consapevolezza della nuova « sostanza » che ci è stata donata, si è rivelata non solo nel martirio, in cui le persone si sono opposte allo strapotere dell'ideologia e dei suoi organi politici, e, mediante la loro morte, hanno rinnovato il mondo. Essa si è mostrata soprattutto nelle grandi rinunce a partire dai monaci dell'antichità fino a Francesco d'Assisi e alle persone del nostro tempo che, nei moderni Istituti e Movimenti religiosi, per amore di Cristo hanno lasciato tutto per portare agli uomini la fede e l'amore di Cristo, per aiutare le persone sofferenti nel corpo e nell'anima. Lì la nuova « sostanza » si è comprovata realmente come « sostanza », dalla speranza di queste persone toccate da Cristo è scaturita speranza per altri che vivevano nel buio e senza speranza. Lì si è dimostrato che questa nuova vita possiede veramente « sostanza » ed è una « sostanza » che suscita vita per gli altri. Per noi che guardiamo queste figure, questo loro agire e vivere è di fatto una « prova » che le cose future, la promessa di Cristo non è soltanto una realtà attesa, ma una vera presenza: Egli è veramente il « filosofo » e il « pastore » che ci indica che cosa è e dove sta la vita.







Leopoldo Panero

Nella soltitudine del mio corpo

Al mio fianco dietro le sottili
Pareti, debolmente si confondono
I fiocchi con il vento della notte.
Dentro il mio cuore, quello che ho vissuto
Pur si confonde, e sono un paesaggio
Che diventa ogni volta piú profondo
Sono il mio corpo oscuro e solitario
Che con l'anima ora si. Confonde.
Ora che solo sto cnella mia carne,
E l'eco del mio corpo è solo morte
Ed il rischio del sangue nel silenzio
Come un'ape tra il rosmarino assente,
Mentre il suo splendor continuo e mite
Nel querceto lassú in mezzo all'ombra,
Posa la neve dai piedi d'uccello.
Ora, o Signore, che stringo la puerzza,
Come un bimbo che dorme tra le braccia,
Voglio tutto obliar del corpo mio
Abbandonar del tutto il mio volere
Nella notturna tenebra, dove
Duole piú la speranza, o corpo mio.
Ora che sono cosí vicino e che tu solo
Mi separi, mio corpo, corpo mio
E l'anima è divinino annebbiamento,
Sostanza intiepidita della vita
Nella pietá del cuore … e ora
Mi sento come privo delle mani
Non mi posso toccare per sentirmi,
Oltre i tremore nel quale si unisce
L'uomo alla nostalgia e Iddio al vento!
Ora che sono, il mio corpo, sottile
Parete sulla notte, corpo mio,
Come rotto dal tempo e che mi attende
La scura libertá della campagna
Voglio obliar tutto il mio nome illuso
La pelle mia di ombra, Perché adesso,
Appena resti tu, dolcezza effimera,
Di chi ti dette la mano da bambino
Di chi drizzó il tuo petto da ragazzo
Di chi lento verrá a te da vecchio
Per aprirti la porta del giardino.

Trad. genseki

sabato, novembre 15, 2014

La Feroniade

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 V'era la rosa che mandâr primieri
di Damasco i giardini e di Mileto;
quella rosa che poi, nel fortunato
grembo translata dell'ausonia terra,
fu pestana nomata e prenestina.
Sua sorella minor, ma di più grido,
le fioriva da canto la modesta
licnide figlia delle ambrosie linfe,
di che le Grazie un dì le belle membra
lavâr di Citerea, quando dai primi
ruvidi amplessi di Vulcan si sciolse.
 
V. Monti

Giusto de' Conti



Quel cerchio d'oro che due trecce
Bionde alluma si, che il Sol troppo
Sen dole, e il viso ove fra pallida viole
Amor sovente al'ombra si nasconde;

E l'armonia che tra si bianche e monde
Perle risuona anheliche parole;
E gli occhi, onde il mattin riprende il Sole
La luce che perduta avea tra l'onde;

E la vaghezza del soave riso
Coll'atto altero dell'andar beato.
Che ogi vil cura dal cor m'allontana;

E il bel tacere da 'nnamorar Narciso, è
Quel che tanto ha sopra ogni altro stato
Nobilitata la natura umana.



Scritto ad ogni istante

Leopoldo Panero

Dove vanno le aquile

Una luce veemente oscura, di tormenta
Ondeggia sulle cime dell'alto Guadarrama
Dove vanno le aquile, Sende la sera lenta
Lungo i verdi sentieri, caldi tra le ginestre

Sonnolenta tra i sassi risplende una scintilla
Del sole occulto e freddo. La luce tra le fronde
Como volo d'uccello nell'ombra si nasconde
Bruscamente il silenzio balena come fiamma.

Ho paura, Alzo gli occhi. Dio flagella
Il mio cuore. Il vapor della neve si raffredda
Proprio come un ricordo, Fluttua sui monti

La pace e l'anima sogna la propria lontananza
Una luce veemente germoglia dal mio sonno
Verso l'amore. Vespero cupo s'addorme ai miei piedi.

Trad. genseki








venerdì, novembre 14, 2014

Sulla famiglia

“All’interno del problema da voi toccato nelle domande, vi è una cosa molto triste, molto dolorosa. Penso che la famiglia cristiana, la famiglia, il matrimonio, non siano mai stati così attaccati come avviene ora. Attaccati direttamente o attaccati di fatto. Forse mi sbaglio. Gli storici della Chiesa ci sapranno dire, però la famiglia è colpita, attaccata, la famiglia è, a dir poco, imbastardita, quasi fosse una forma come un’altra di associazione… Beh, si può chiamare famiglia tutto, no? Inoltre, quante famiglie sono ferite, quanti matrimoni sfasciati, quanto relativismo nella concezione del Sacramento del Matrimonio. Ormai si può parlare di una crisi della famiglia, e questo dal punto di vista sociologico, oppure di quello dei valori umani, o ancora dal punto di vista del Sacramento cattolico, del Sacramento cristiano. Ed è una crisi perché la bastonano da tutte le parti e la lasciano davvero ferita. Quindi è chiaro, non si può non fare qualcosa. Dunque, la tua domanda: che possiamo fare? Certo, possiamo fare bei discorsi, dichiarazioni di principi, sì, anche queste vanno fatte, no? Le idee chiare! Guardate, quello che state proponendo non è un matrimonio. E’ un’associazione, però non è un matrimonio. Cioè, a volte bisogna dire le cose con molta chiarezza. E questa cosa bisogna dirla. La pastorale è di aiuto, ma solamente in questo è necessario che sia ‘corpo a corpo’. Quindi accompagnare, e questo significa perderci il tempo. Il grande maestro nel perdere il proprio tempo in questo è Gesù, no? Ne ha perso di tempo per accompagnare, par far maturare le coscienze, per curare le ferite, per insegnare! Accompagnare è fare un cammino insieme. E’ ovvio che il sacramento del matrimonio è stato svalutato; si è passati, irresponsabilmente, dal sacramento al rito. La riduzione del sacramento al rito. Quindi si fa del sacramento un fatto socialE ...

Francesco I

Alejandra Pizarnik

Origine

Bisogna salvare il vento
Lo bruciano gli uccelli
Tra i capelli della solitaria
Che riemerge dalla natura
A tessere tormenti
Bisogna salvare il vento.

*

Da: “L’albero di Diana”

Sono balzata da me stessa all’alba
Accanto alla luce ho posato il mio corpo
Ho cantato la tristezza del nascente.

*

Solo la sete
Il silenzio
Nessun incontro
Attento a me amor mio
Attento alla silenziosa nel deserto
A colei che viaggia con un vaso vuoto
E all’ombra della sua ombra.

*

Lei si spoglia nel Paradiso
Della sua memoria
Non conosce il destino feroce
Delle sue visioni
Lei teme di non saper dar nome
A ciò che esiste.

*

Salta con la camicia in fiamme
Di stella in stella
D’ombra in ombra
Di morte lontana muore
L’amante del vento.

*

Spiegare con le parole di questo mondo
Che venne a me un battello portandomi.

*

Quando vedrò quegli occhi
Che porto tatuati nei miei.

*

Come poesia informata
Del silenzio delle cose
Parli per non vedermi

*

Nella notte
Uno specchio per la morticina
Uno specchio di cenere.

*

Colpo d’alba tra i fiori
Ebbra di nulla mi lascia e di luce lilla
Ebbra d’immobilità e di certezza.

*

Ora
In quest’ora innocente
Io e colei che fummo ci sediamo
Alla soglia dello sguardo.

*

La poesia che non dico
Quella che non merito
Paura di essere due
Sulla via dello specchio
Qualcuno che dorme in me
Di me mangia, mi beve.

*

La piccola viaggiatrice
Moriva dispiegando la sua morte
Dolci animali di nostalgia
Visitavano il suo corpo ancora caldo

*

Nella gabbia del tempo
Colei che dorme fissa i suoi occhi soli
Le porta il vento
La leggera risposta delle foglie.

*

Nell’attesa dell’oscurità
Questo istante che non si dimentica
Così vuoto concesso dalle ombre
Così vuoto rifiutato dagli orologi
Questo povero istante adottato dalla mia tenerezza
Nudo nudo di sangue e d’ali
Senz’occhi per ricordare le angoscie d’un tempo
Né labbra per raccogliere succo di violenze
Perdute nel canto di gelidi campanili.
Proteggilo bimba cieca d’anima
Dagli i tuoi capelli scheggiati dal fuoco
Abbraccialo piccola statua di terrore.
Indicagli il mondo in convulsioni ai tuoi piedi
Ai tuoi piedi dove muoiono le rondini
Tremanti di paura del futuro
Digli che i sospiri del mare
Inumidiscono le uniche parole
Per cui vivere vale la pena.
Ma in questo istante sudato di nulla
Accoccolato nella conca del destino
Senza mani per dire mai
Senza mani che regalino farfalle
Ai bimbi morti.

*

Poesia

Tu scegli il punto della ferita
In cui parliamo il nostro silenzio
Tu rendi la mia vita
Come una cerimonia troppo pura.

*

trad. genseki

Rivelazioni

Di notte al tuo fianco
Le parole son chiavi, grimaldelli
Si fa Re il desiderio di morire
Che il tuo corpo sia sempre
Un luogo amato di rivelazioni.

*


L’obscurité des eaux 

Ascolto risuonare l’acqua che cade nel mio sogno. Cadono le parole, come l’acqua io cado. Disegno nei miei occhi la forma dei miei occhi, nuoto nelle mie acque, mi dico i miei silenzi. Tutta la notte attendo che il mio linguaggio possa infine darmi forma. E penso al vento che mi viene incontro. Tutta la notte ho camminato sotto la pioggia sconosciuta. Mi hanno dato un silenzio pieno di forme e di visioni (dici). E corri desolata come l’uccello unico nel vento.

*

Dall’altro lato
Come una clessidra cade la musica nella musica.
Triste sto nella notte di zanne di lupo.
Cade la musica nellla musica come la mia voce nelle mie voci.

*

La gabbia

C’è sole fuori.
E’ soltanto un sole
Ma gli uomini lo guardano
Per poi cantare
Non conosco il sole.
Conosco la melodia dell’angelo
Il caldo sermone del vento.
So gridare fino all’alba
Quando la morte si posa nuda
Sulla mia ombra.
Piango sotto il mio nome
Agito fazzoletti nella notte e battelli assetati di verità
Ballano con me.
Nascondo chiodi
Per ferire i miei sogni malati.
C’è il sole fuori
Io mi vesto di cenere.


*

Salvezza

Fugge l’isola,
La giovane torna a scalare il vento
A scoprire la morte dell’uccello profetico.
Ora
È carne
Foglia
Pietra
Perdute nelle fonti del tormento
Come il navigatore tra gli orrori della civiltà
Che rende puro il cadere della notte.
Ora
La giovane trova la maschera dell’infinito
E rompe il muro della poesia.

*

Alba

Nudo sognando una notte solare.
Ho dormito giorni animali.
Il vento e la pioggia mi cancellarono
Come fuoco, come una poesia
Scritta sul muro.




Trad genseki

La Festa dei Folli

 



Gemain Colin-Bucher(1475-1545)

Epitaffio di un Bevitore

Qui giace, ed or ne udrete meraviglie
Un famoso assassino di bottiglie,
Anti-Bacco, crudele vinicida
Mai gotto non lasciò pieno né vuoto.
Taccio il suo nome perché puzza di vino
Ma v’era in lui uno spirito divino
Solo a mirarlo dava sete a tutti
Latte avea in uggia e ciliegie e il melone
I fichi, l’uva passa e l’altri frutti
Solo avea care le noci e ‘l provolone,
Al gargarozzo sentiva tanto male
Che si nutriva sol di carne al sale
Iddio e i Santi copriva di bestemmie
Quegli anni ch’eran scarse le vendemmie
Per questo, gente mia, dovete credere
Che venne al mondo per bere e non per gemere.
Deh non piangete la sua dipartita!
Ché la sua vita al vino era asservita.
Fate piuttosto a Bacco orazione
Si ch’infine l’accolga in sua magione
E lo sistemi in fondo alle cantine
Ché degna di sua vita sia sua fine.
*



Jean Lemaire des Belges

Rondò

Grande Concordia con picciola Avarizia
Cuori devoti a nobile Milizia
Audacia in guerra ed in pace equità
Posero Roma in tale autorità
Che stava il mondo intero al suo servizio.
Quivi fu posto il trono di giustizia
E così bene svolse il proprio offizio
Ch’ognun stimava tal felicità
Ben grande.
Quando Vertù cedette ‘l loco al Vizio,
Quando ricchezza ed ambizion inizio
Di tutti i mal varcarono sue mura
Con esse entraro e ruina e paura
E sua caduta fue senza mesura
Grande.
*


Pierre Gringoire

Il Bando del Principe de’Folli

Orsù folli lunatici, folli storditi e saggi
Abbandonate i borghi, le castella, i villaggi,
Folli furiosi, folli stolti e sottili,
Deh! Folli innamorati, folli sparsi e selvaggi.
O folli vecchi e nuovi, de’ più vari legnaggi,
Folli stranieri, barbari, gentili,
Folli perversi, folli loici e vili,
Il Prence Vostro senza tirare il fiato
Sarà Martedì Grasso in Piazza del Mercato.
O dame folli, o folli damigelle,
Folli vegliarde e giovanette snelle,
Folli codarde e ardite, laide e belle,
Voi tutte folli che amate l’augellino,
Folli secche dolcissime o rubelle,
Folli che bramano il loro bottino,
Folli che trottano per ogni cammino,
E magre e rosse e col cranio spelato
Martedì starà il Prence in Piazza del Mercato.
Folli embriachi, pilastri dell’osto,
Folli che sputan scaracchi di mosto,
Folli cui piace ‘l dado, il vino e ‘l sesso,
Folli ch’a notte braccano la topa,
Folli che spesso impugnano la scopa,
Folli che a Dame lo forniscon spesso
Folli ben mondi folli cui pute il fiato
Martedì starà il Prence in Piazza del Mercato.
Mamma de’Folli invita le piccine
Orsù correte tutte voi beghine
Che di nascosto ‘l buon tempo vi date
Folli gaie, carine, delicate,
Folli di miel che le gonne levate,
Folli che fate gli uomini godere,
Folli nordici e folli cameriere,
venir dovete con il capo agghindato
Martedì starà il Prence in Piazza del Mercato.
Scritto e approvato trincando a gran boccali,
Senza obliar nessuno della greggia
Dal Prence istesso e da’ suoi offiziali
Il sigillo è di dama una scoreggia.


*

trad. genseki

giovedì, novembre 13, 2014

Bello ed util del par, fervido ordigno
Quattro immense impernate ali rotanti
Spiegando, ei quivi allaccia i figli erranti
Del Dio, ch'è in mare all'uom talor maligno.

Ratto aggirasi intanto alto macigno,
Con mille ruote  stridule, assordanti,
D'una in altra se stesse propaganti,
Dan moto stritolante, ampio, ferrigno,

La grave mola i Ceréali aurati
Doni infrange, che infranti altrui dan loco,
Cadendo in bianca polve trasmutati.

Esce da questo industre aéreo giuoco
Quel pane poi, che al povero i magnati
Contrastan spesso , o dan malvagio il pane.

Alfieri


Benedetto XVI



Possiamo allora chiederci: qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell’idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell’intimo dall’avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in se stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi davvero avvicinare a noi.

Alla fine, quello che manca è l’umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme.


Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci. Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo.


Benedetto XVI


Omelia nella Solennità dell’Epifania del Signore, 6 Gennaio 2010

Guerra di civiltá


venerdì, novembre 07, 2014

Memorie di Dreiser Cazzaniga

Don Baldássare

Come tutti i pargoli del Barrio anche il piccolo Dreiser Cazzaniga dovette frequentare la Scuola per apprendere l'abbecedario e l'abbaco come allora era costume, prima che la Grande Oscuritá rendesse le scuole luogo di cupe pratiche ludico-meditative.
Nella scuola del Barrio regnava in quei giorni la figura della Pedantessa, vecchie pie, miopi e sdentate impartivano le arti del quadrivio a pargoli inquieti, puzzolenti e dalle unghie listate a lutto, vestivano cappottini lisi con colletti di pelle di coniglio e le chiome bianche avevano sfumature celesti, gli occhi di pietra brillavano freddi seminascosti da occhialini ovali.
Dreiser Cazzaniga ebbe fortuna, a lui tocco come maestro Don Baldassare. Come tuti i pedanti era uomo di etá giá avanzata, forse una dozzina di lustri, e al piccolo Dreiser Cazzaniga pareva antico come le colline che circondavano il Barrio o perlomeno come l'altissimo ponte del drago ferreo che lo dominava, avvolto nel suo pastrano dal colore reso indistinguibile dal tempo.
Al principio del secondo anno di scuola il piccolo Dreiser Cazzaniga non aveva ancora conseguito l'abilitá grafica necessaria a scrivere versi endecasillabi e alessandrini ma financo ottonari senza andare a capo rompendo cosí la bella armonia della pagina.
Don Baldassare non lo castigó per quasta sua intollerabile mancaza, piuttosto si avvicinó al piccolo Dreiser Cazzaniga, colse la sua manina con la mano grassottela dalle dita corte e gialle di nicotina e la condusse per l'impervio sentiero di un esametro particolarmente orografico fino al bordo della pagina alla sponda di tanto altalenare.
Fu come se qualche cosa si fosse impresso nell'anima del piccolo Dreiser Cazzaniga, un abito meccanico incacellabile in virtú del quale non ebbe mai piú la necessitá di troncar versi, come involontario carnefice dell'armonia, senza sforzo niuno.
Don Baldássare soleva giocare al biliardo la sera nella taverna del Barrio tra barattieri e malandrini, e quando ali sbirri del bargello occorreva di fare irruzione nella piola o posada grigia e ammuffita, il gioco, infatti, era vietato a' pedanti e alle pedantesse del Regno, agile come giovinetto pastore fuggiva per i tetti con gli altri peccatori menando gran chiaso tra' gatti intenti alle loro faccende notturne.
Vivea solo con la vecchia madre come zitello coatto, la madre volle che fosse presbitero  e non potendo conseguirlo per la ripugnanza di lui e la sua convinta empietá  costringerlo seppe, tuttavia al celibato.
Alla morte di lei poté infine sposarsi con la vedova benestante ch'ella avea previdentemente eleto alla funzione di madre sostituta in abito legale di consorte. Fu un'unione infelice.
Don Baldassare odiava la neve, quando i primi fiocchi cadevano lenti e svagati sui prati grigi e i tetti bruni del Barrio Don Baldássare soffriva in preda a una rabbia sorda che si esprimeva in melanconia e talora in attachi di una furia astratta ch'egli volgeva contro gli incolpevoli suoi pupilli, specie i piú sudici e i sardi, disprezzava egli segretamente i sardi giunti con il Drago di ferro e dediti alle mansioni piú umili come era consuetudine ovvia nel Barrio,
La Chionofobia di Don Baldassare non trovava la sua eziologia nel Barrio ma nelle lontane steppe della Scizia.
Egli infatti partecipó, come tutti i suoi coetanei del Barrio alla tragica Spedizione Scitica come milite della Legione Cozia. Da quella terra gelata, dalle infinite pianure innevate dai monti avvolti in tormente perenni egli fu uno dei pochi che ebbe la sorte di essere restituito ai suoi cari tutto d'un pezzo e vivo.
Leghe e leghe infinite leghe di neve calpestó sferzato dal gelido staffile del vento caucasico, stremato dalla fame e dalla sete, poté sopravvivere grazie soltanto all'ausilio compassionevole prestato, a lui e ai suoi compagni nella disfatta, dalle pietose vecchierelle delle isbe, dai villani, dai decrepiti pope e anacoreti delle capanne di betulla, la zuppa calda di barbabietola e cavolo, il conforto del riposo permisero loro il ritorno.
E questa ospitalitá, questo ausilio dato al nemico sconfitto e morente invece della vendetta meritata, lo fu nel nome di quel Cristo Signore ch'egli aveva prematuramente rinnegato,

Nella classe del piccolo Dreiser Cazzaniga non eravi croce alla parete, per fermo volere, scellerato oserei dire di Don Baldassare, bensí un piccolo, ma grazioso altare dedicato a Nostra Señora la Virgén Negra de la Cumbre per la quale avea una speciale devozione che trasmise al piccolo Dreiser Cazzaniga e che questi, sebben ghibellino e inimico della fede non abbandonó mai. Sul picciol altare non mancavanno mai candele di cera fragrante e fiori freschi del bosco,

Don Baldássare era per il piccolo Dreiser Cazzaniga la garanzia del ritrno delle stagiioni, del ciclo del giorno e della notte, la sua settimana era organizzata secondo uno schema che si ripeteva come una liturgia per da San Martino a San Giovanni. Le giornate erano anch'esse scandite su di un ritmo sapientemente fissato dall'alba a mezzodí.
Ottobre era dedicato al ricordo e alla lode del navigatore eccelso che aprí un nuovo continente alla Parola di Dio, Novembtre era il San Martino che compartiva il suo mantello di soldato con il povero ottenendo per tutti una breve estate, era il San Martino temuto da' mezzadri, mese delle fiere che attraevano i villani al Barrio e ai borghi per il negozio del bestiame, Dicembre il dolce natale tanto caro al cuore, Gennaio cominciava con il pargoletto anno nuovo e la lista dei propositi per una vita retta.  Febbraio veniva con il corteo delle maschere antiche: le Colombine, i Balanzoni, i Pantaloni, Aprile piovoso e fecondo mese del disgelo, Maggio caro al cuore, il mese della Vergine Maria e il ciclo ripetevasi di anno in anno, legge eterna dell'umano e dell'universo come un vivente libro d'ore miniato dello splendore dell'infanzia.
Fu Don Baldássare che modelló l'anima di Dreiser Cazzaniga rendendola tanto sensibile al Culto della Virgén Negra de las Cumbres (benché fosse egli ancor ghibellino e averroista arrabbiato), ai riti e alle cerimomonie.

A cura di genseki

giovedì, novembre 06, 2014

Elisabeth Jennings



I remember reflecting 
Women who don't believe in God 
 Don't bother to look elegant ...



Elzabeth Jennings

Modi di morire

Scenderemo in picchiata come uccelli che l'aria piú non sostiene
Cadendo giú precipitando, in preda alla vertigine
Mentre la mente scossa  lentamente s'annebbia
E la carne s'approssima alla polvere, alla solitudine?

Lanceremo strazianti grida, forsennati,
Come rabbie di bimbi all'asilo strillando: - non è giusto!
Volevo fare tante cose, e tante cose non ho visto"
In preda alla fame, all'ira, alla lussuria?

O quieti giaceremo sperando di allentare
La stretta della Straniera sul nostro cuore che rallenta
O spariremo nei cunicoli del sogno
A quale notte diretti a quale incontro?

Elisabeth Jennings

trad. genseki

mercoledì, novembre 05, 2014

Giusto de' Conti


Questa Angioletta mia dall' ale d' oro,
mandata qui dal regno degli Dei,
non so che nell' aspetto aggia con lei,
che come cosa santa sempre adoro.

De i spirti eletti il più gentil di loro
venendo a noi con gli altri Semidei,
(nel fronte porto scritti i pensier miei)
dalla più degna sfera ed alto coro,


dal volto acceso d' un celeste raggio
sfavilla, e da i begli occhi la vaghezza,
che il cor m' ha pien d' ardente caldo, e gelo :


e dalla bocca colma di dolcezza,
riversa il bel parlar si dolce e saggio ;
come colei che lo imparò dal cielo.

La bella mano

Sonetto V

Sara

Il fiore piggro del miio fallo
Mostra al diavolo una rosa
Che é la rosa della morte
L'unico fiore che esiste
- La morte fu un maestro tedesco
Era giovine e celeste
Gioventú che mi fuggi qual cervo divino
Oro celeste del silenzio
Vegetazione pìgra che invita al nulla
Colore remoto del silenzio
Oh tu che mi fuggi qual cervo 
Timoroso del nulla.

*

Oh labbro oscuro della rosa
Donna legata a un morto
Fiore senza emozioni
Del poema
Saltimbanco nel circo del poema
Ove ogni animale ha disertato
- Oh lo disse Yeats
  Mostrando una rosa segreta al branco

*

I miei unici amici
Erano i bambini
Che hanno paura dell'oscuritá
Dell'oscuritá della paura
Quando trovano
Una lucertola nel letto
E piangono, perché il diavolo abbia pietá di loro
Oh tu Sara
Lacrima del diavolo e fiore del nulla
Che brucia oscuramente nel silenzio
E implora 
La caritá ai morti
              Unici signori del nulla
              Oh splendore del silenzio
              Isola
Legata a un morto
Oh palazzo dell'anima
Retata del poema
Cattura delle cose
Per mezzo della parola
             qu'enans fo trobatz en durmen
             sus un chivau

Leopoldo Maria Panero

Trad genseki




Le fruit permis I




Sonia Delaunay  Untitled gouache (Illustration for Tristan Tzara's

Tristan Tzara - Dada Into Surrealism (1959)