lunedì, novembre 25, 2013


José Bergamín

Non han peso le mie ossa
(E solo mi restan le ossa)
Alla mia morte saró
Come un passerotto morto.

Mangime per le formiche
Se mi abbandonate al suolo
Un'orma  nel vostro ricordo
Saró eco, nome, ombra. 

Trad. genseki



mercoledì, novembre 13, 2013

I gerani

I gerani si erano smarriti
Tra tutti quei lampi;
Quando il cielo intero
Crolló sul bosco
Germinarono lacrime dal muschio
Come limpide gocce di abbandono
Tra le prime foglioline dell'autunno.

*

I germi fiorirono come ricami
Ogni sorriso sarebbe stato un crimine
Tra le lacrime del ricino
L'asma delle tamerici
La luce consumata del sole.

*

genseki


lunedì, novembre 11, 2013


Tutte quante le pupille erano bianche
Come l'erba su cui cadono le ore
Era un incendio doloroso, davvero,
Di sguardi che bruciavano il tempo,
Le diagonali, i voli, tutti i ricordi
L'evidenza che si intravede appena
Oltre la sistole dell'anima.

genseki

Ombre di parole

Lasciare cadere le parole
Quando si schiude uno specchio tra le foglie
Specchio d'onda
All'ombra dorata ove scorrano
I riflessi delle nuvole,
Lo scroscio delle perle che si sfilano
Dal filo sottile che sfibra la piega
Del collo
Allo stesso ritmo del sogno;
Dove tutti i suoni si spezzino
Fino al fuoco,
Al fuoco bianco
Che non cessa di ardere
Dietro ogni pupilla.

genseki

lunedì, ottobre 28, 2013

Politica

I più saggi sanno che una stolta legislazione è una corda di sabbia che si sbriciola nell'attorcigliarsi; che lo Stato deve assecondare e non guidare il carattere e il progresso dei cittadini; che anche del più forte usurpatore prima o poi ci si libera; e che solo quelli che costruiscono sulle idee costruiscono per sempre; e
che la forma di governo che prevale è l'espressione del tipo di cultura che esiste nel popolo che l'abbia permessa. La legge è solo un memorandum. Nella nostra superstizione, crediamo che uno statuto abbia un suo stabile valore: ma la sua forza sta in quel tanto di vita che anima gli uomini in carne e ossa. Lo statuto sta lì a dirci: «Jeri ci siamo accordati su questo e su quello, ma che cosa pensate oggi di quest'articolo?». Il nostro statuto è una moneta sulla quale imprimiamo la nostra immagine: ma, ben presto, non la si riconosce più e, passato un certo tempo, dev'essere riportata alla zecca. La natura non è democratica, e non è neanche
monarchico-costituzionale, ma è dispotica, e non si farà aggirare né sottrarre un solo iota della sua autorità nemmeno dal più caparbio dei suoi figli; e quanto più la pubblica opinione si apre a una più acuta intelligenza delle cose, tanto più il suo codice è considerato schematico e balbettante.

Emerson
Politica

domenica, settembre 29, 2013


Dialettica

Improvvisamente, dietro qualche tetto, l'altezza della cascata ci è apparsa obliquamente: abbiamo avanzato verso di essa, stupiti, attraverso i prati umidi. Sul verde massiccio laterale, una nube di goccioline disegnò un cerchio intorno a noi, spinto dal vento creato dalla cascata. Per cogliere la cascata in una vista d'insieme, abbiamo dovuto scendere verso il basso lungo l'erba scivolosa fino al bordo dell'abisso in cui si riversano i flutti. Da qui, godendo la vista della cascata, fin dove era possibile, uno spettacolo sontuoso è venuto a coronare gli sforzi della giornata che all'inizio erano stati penosi . Un rivolo di acqua fuggiva da una fessura nella roccia, cadendo in verticale e rompendosi in rivoli furiosi , rivoli che l'occhio dello spettatore incapace di fermare il flusso di più di quanto non lo fosse di seguirlo, non cessava tuttavia di percepire : immagine che si disfaceva ad ogni istante. Ogni rivolo era sostituito ad ogni istante da un altro eppure, nella cascata, lo spettatore vedeva sempre la stessa immagine, e simultaneamente vedeva che non era la stessa. Dopo che i rivoli lungo il pendio, hanno raggiunto le rocce sono inghiottiti da tre o quattro fenditure e si scagliano rumorosamente in un abisso dove l'occhio non può seguirli per l'ostacolo costituito dalle rocce. A una certa distanza, percepivamo il fumo che sorgeva dal baratro e ci rendemmo conto che era la schiuma creata dalla cascata.


Meiners, giustamente, aveva rivelato l'importanza di questa cascata cosí movimentata. Ma una rappresentazione o una pittura non possono rendere che male la visione reale. La descrizione dà all'immaginazione la possibilità di cogliere l'insieme a condizione di possedere già modelli simili, ma un quadro di piccole dimensioni produrrà una debole impressione e fornirá un piano inadeguato. La posa effettiva dell'opera non offre all'immaginazione l'occasione adeguata, l'oggetto preso come modello e lo coglie solo nella sua forma ridotta (...). Se mettiamo il quadro di fronte a noi o appeso alla parete, i sensi saranno obbligati a ridurre tutto alla nostra dimensione o a quella delle cose circostanti sempre troppo deboli. Il quadro dovrebbe essere così vicino agli occhi che sarebbe impossibile coglierlo tutto, perdendo così il senso della proporzione. Ció che risulta piú interessante, l'essenziale dello spettacolo sfuggirá anche agli schizzi migliori: la vita eterna, la forma immobile della cascata e la mobilitá poderosa che ne fa una cosa viva. Un'opera non puó rendere che un'infima porzione dell'impressione totale, non puó che restituire proporzioni proprie all'immagine secondo certe parti e certi contorni. L'altro aspetto della contemplazione, il divenire incessante, eterno di ogni componente, l'eterna dissoluzione di ogni zampillo che fa oscillare l'occhio in modo tale che la vista non conserva mai la stessa direzione, tutto ció va perduto con la forza e la vita.

G.W.F Hegel

Da "Strass de la philosophie"
Trad. genseki

venerdì, settembre 27, 2013


Augustinus

Quam similia sint latrociniis regna absque iustitia.

Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? quia et latrocinia quid sunt nisi parua regna? manus et ipsa hominum est, imperio principis regitur, pacto societatis adstringitur, placiti lege praeda diuiditur. hoc malum si in tantum perditorum hominum accessibus crescit, ut et loca teneat sedes constituat, ciuitates occupet populos subiuget, euidentius regni nomen adsumit, quod ei iam in manifesto confert non dempta cupiditas, sed addita inpunitas. eleganter enim et ueraciter Alexandro illi Magno quidam conprehensus pirata respondit. nam cum idem rex hominem interrogaret, quid ei uideretur, ut mare haberet infestum, ille libera contumacia: quod tibi, inquit, ut orbem terrarum; sed quia id ego exiguo nauigio facio, latro uocor; quia tu magna classe, imperator.
 
Augustinus
De Civitate Dei

lunedì, agosto 12, 2013

Due poesie di genseki

Il volo comincia
Dove finiscono penne e piume
Dove anche lo scheletro
È fragile carena di flauto
Poi il vento, tutto quanto,
Sará una cascata di sale
A lavare l'amaro degli occhi.

**

Lasciavi ricadere i polsi come i capelli
Ribelle al vento, ai mulinelli del silenzio
Il rame aveva abbandonato i tuoi occhi
Dal tempo delle tue nozze con la neve.

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Antonio Gamoneda


Antonio Gamoneda

Dal "Libro del freddo"

Trad. genseki

Il vino era celeste nell'acciaio (Ah la luciditá del venerdí) e nei suoi occhi. Dolcemente andava distruggendo le cause dell'infezione: grandi fiori immobili e la lubricità, la cinta nera nel silenzio dei serpenti.

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Nella sua canzone vi erano corde senza speranza, un sole lontano di donne cieche (madri scalze nel presidio trasparente del sale).

Suonava a morte e rugiada, poi soffiava in una siringa nera, era il cantore delle ferite. La sua memoria bruciava nel paese del vento, nella bianchezza dei sanatorii sonnolenti.

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Era sagace nella prigione del freddo,
Scorse presagi nel mattino celeste; gli sparvieri fendevano l'inverno e lenti erano i ruscelli tra i fiori della neve.

Comparivano corpi femminili e ne percepiva la fertilità.


Poi giunsero mani invisibili. Con dolcezza esatta afferò quella di sua madre.

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Un tempo le mie sole passioni erano la povertà e la pioggia.

Ora sento la purezza dei limiti e la mia passione non esisterebbe se sapessi il suo nome.

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