martedì, maggio 01, 2012

Jeve I


La valle si stringeva improvvisamente
Tra aceri e ontani. Sul corso del fiume
Ormai morto da tanto tempo
Lo scheletro di un idrometro
Ormai quasi un'astrazione di povero cemento
E barre di ferro disfatte in polvere rossa
Di ruggine fangosa. Da quanto ormai
Il fiume aveva perso la sua funzione?
Inutile giaceva ora come dimenticato dalla sua lingua,
In nessun dialetto più da nessuno nominato
Morto insomma morto come un fiume sa morire
Conservando le apparenze di una povera vita
Solo in poche pozze nascoste tra le fronde
Lassù dove vi era stata forse una miniera di torba
Poi un bordello e un mercante di cavalli
E ormai solo un bosco confuso nella povera
Demenza del silenzio
Si permetteva ancora di ripetere ad anime più
Ingenue il sermone dell'unione e quello dell'impermanenza.
Con tre curve strette scure e viscide la strada si sforzava
Di oltrepassare la gola e si apriva allora
Una vasta radura, proprio nel punto
In cui il povero fiume riceveva l'apporto
Delle acque di un breve fresco affluente
Che scrosciava dal selvoso versante meridionale
Nel quale aveva scavato la sua propria valle
In tante migliaia di anni popolata poi da pastori
E da assassini della cui esistenza testimoniavano
Ormai solo le umide edicole della Vergine e di Santa Rita
Da nessuno ormai più venerate con la misteriosa miseria
Dell'orazione che accomunava le vecchine
E i guardacaccia, carbonari ed i pastori
I cacciatori di selvaggina di passo e gli sterratori -
Tutte le leggende si erano perse con la lingua che le aveva espresse -
Il mondo dei fiumi fantasma era muto e il gelo
Non era più la lieta chiamata di Dio nella carne viva
Alla pace della fede.
I fiumi conversarono un tempo con gli schioppi
E con le squille degli alti borghi, dei santuari inerpicati
Sui colli protetti dai faggeti.

Dreiser Cazzaniga

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