giovedì, aprile 21, 2011

Lezama Lima

La madre

Di nuovo vidi il volto di mia madre
Era una notte che pareva aver separato
La notte dal sogno.
La notte avanzava o si arrestava,
Come un coltello che pareggia i margini
Soffio di uragano,
Il sogno, tuttavia, non procede verso la sua notte.
Sentiva che tutto pesava verso l'alto,
Era dove parlavi, dove appena sussurravi,
Per le orecchie di un piccolo granchio,
Lo so bene, lo so perché vidi il suo sorriso
Che voleva giungere
Regalandomi questo animaletto,
Per vederlo camminare con grazia
O impanarlo in ardente farina.
La pannocchia matura come il dente di un bambino
Come una cassetta con formiche platinate
La similitudine della cassetta come una vipera,
Quella grande come un braccio, quella che trucciolo
Lingua nella sua estensione ripiegata, quella degli orologi
Vecchi, la temibile
E risibile cassetta parlante.
Percorreva i fili della porta,
Per cominciare a sentire, tappandomi gli occhi,
Sebbene lentamente non immobilizzava,
Che la parte restante pesava di più,
Con la leggerezza del peso della pioggia
O le persiane dell'arpa.
Il pubblico in cortile comprendeva
La luna completa e gli altri satelliti invitati.
Propizio, era e magico l'itinerario della sua consuetudine.
Ma il resto del corpo restava tra quanto su sottratto,
Come chi cominci a parlare,
Ritorni a ridere,
Però come si passeggia tra la porta
E chi altri resta,
Sembra che se en sia andato,
Ma è proprio allora quando torna.
Chi resta forse è Dio,
Meno son io,
A volte la raschiatura solare
E in esso forse a crepapelle, forse, l'io.
Al mio fianco l'altro corpo,
Respirando, non staccava lo sguardo
Dalla rocca della vuotezza sferica.
Venne riducendosi
A un metallo volante con i bordi
Assaliti dalla brevità delle fiamme,
All'evaporazione di una tazzina
Mattutina di caffé,
A un capello.

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Lezama Lima
Trad. genseki

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