domenica, ottobre 18, 2009

Gilles de Rais

Gilles erra nelle foreste che circondano Tiffauges, foreste oscure e fitte, come se ne trovano ancora in Bretagna, per esempio a Carnoët.
Singhiozza mentre cammina, disperde, smarrito, i fantasmi che si avvicinano, guarda e di colpo si rende conto del'oscenitá degli alberi piú antichi.
Sembra che la natura diventi perversa davanti ai suoi occhi e che la sua sola presenza basti a depravarla; per la prima volta comprende, l'immutabile lussuria dei boschi, scopre priapo tra i cdui.
Qui, l'albero gli appare come un essere vivente, in piedi, la tesa in giú, nascosta tra la capigliatura delle radici, con le gambe all'aria, spalacate, che poi si dividono in altre cosce ancora ce si aprono a loro volta e diventano sempre piú piccole mano a mano che si allontanano dal tronco; proprio li, tra quelle gambe, si tprva piantato un altro ramo ancora in un coito immobile che si ripete sempre piú miniscolo i ramoscello in ramocello, fino alla cima; e lassù, ecco che il fusto sembra un fallo che cresce e scompare sotto una sottana di foglie o se ne esce all'inverso da un ciuffetto verde e di muschio per penetrare il ventre di velluto della terra. Vi sono immagini che lo terrorizzano. Rivede la pelle degli adoloscenti. la pelle lucida delle pergamene, nelle scorze lisce e pallide degli alti frassini; ritrova l'epidermide elefantiaca dei mendicanti nell'involtorio nero e rugoso delle querce piú antiche; poi, dopo la biforcazione dei rami, dei buchi spalancati, degli orifizi ove la scorza si rigonfia in fenditure ovali, iati pieghettati che simulamo immomde cloache o spalancati sessi bestiali. ai gomiti dei rami altre visioni, fosse brachiali, ascelle pelute di licheni grigi; ecco, persino i tronchi degli alberi hanno ferite che si allungano in grandi labbra, sotto ciuffi di velluto rosso e mazzetti di muschi!
Ovunque le forme oscene sorgono dalla terra, sgorgano verso il firmamento che si satanizza, le nuvole si gonfiano in capezzoli, si fondono in natiche, si arroondano in ventri fecondati, si disperdono in zampilli lattei; si accordano con la cavità cupa della macchia dove non vi sono piú che immagini di cosce gigantesche o nane, triangoli femminili, grandi V, bocche di Sodoma, cicatrici che si slabbrano, umide perdite! - L'abominevole paesaggio muta, ecco che Gille vede sui tronchi inquietanti polipi, sanguisughe orribili. Constata tumori e ulcere, piage taglate nette, tubercoli cancerosi, carie atroci; è per gli alberi una clinica venerea per gli alberi in cui sorge alla svolta di un viale un frassino rosso.
Davanti a queste foglie porporini che cadono, si crede bagnato da una pioggia di sangue; diventa rabbioso, sogna che sotto la scorza abita una ninfa forestiea, e vorrebbe impastare la carne della dea, trucidare la Driade, violentarla in un organo sconosciuto alle follie degli uomini.
Invidia il boscaiolo che potrá ferire, massacrare questo albero, si spaventa, si agita, ascolta, selvaggio, la foresta che risponde alle grida dei suoi desideri con i sibili stridenti dei venti; si abbatte, pinage, riprende il suo cammino fino a che giunge al castello e crolla sul suo letto come un tronco caduto. Ora che dorme, i fantasmi si definiscono con piú precisione. I lubrichi abbraci dei rami, il coito delle essenze differenti dei bosci, i crepacci che si dilatano, le forre che si dischiudono spariscono; le lacrime delle foglie frustate dalla tramontana, si seccano; gli ascessi bianchi delle nuvole si riassorbono nel grigio del cielo; e - in un grande silenzio - sono gli incubi e i succubi che passano.
I corpi che egli ha massacrato e di di cui ha fatto gettare le ceneri nei fossati risuscitano allo stato di larve e lo attaccano nelle parti basse. Si dibatte, si schizza di sangue, si sveglia di colpo e acoccolato si trascina a quattro zampe, come un lupo, fino al crocifisso di cui morde i piedi, ruggendo.
Poi uno sconvolgimento immediato lo travolge, trema davanti a questo Cristo il cui volto convulso lo contempla. Lo scongiura che abbia pietá, lo supplica di risparmiarlo, singhiozza, piamge e quando non ne può più geme sottovoce, ascolta, terrificato piangere nella sua stessa voce le lacrime dei bambini che chiamavano le loro madri e chiedere pietá!

genseki

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