giovedì, marzo 05, 2009

Gramscismi

Nell'articolo: “Antichi monasteri benedettini in Albania nella tradizione e nelle leggende popolari” del pade gesuita Fulvio Cordignana pubblicato nella “Civiltá Cattolica” del 7 Dicembre 1929 si legge:


Il “Vakúf”, - Ció che è rovina di chiesa o bene che gli appartenga – nell'idea del popolo ha in se stesso una forza misteriosa, quasi magica. Guai a chi tocca quella pianta o introduce tra quella rovine il gregge, le capre divoratrici di ogni fronda; sará colto all'improvviso da un malanno; rimarrá storpio, paralitico, mentecatto, come se si fosse imbattuto, in mezzo agli ardori meridiani o durante la notte oscura e piena di perigli in qualche “Ora” o “Zana” laddove queste fate invisibili e in perfetto silenzio stanno sedute a una tavola rotonda o in mezzo al sentiero.”


C'è ancora qualche altro accenno nel corso dell'articolo.


Questa nota di Gramsci cosi estranea al corso delle sue preccupazioni intellettuali quali esse ci appaiono nei Quaderni, cosí apparentemente divagatoria nella ci permette forse, per un istante di entrare nell'intimo della sua mente, di intravedere una fazione infinitesima del gomitolo di pensieri e desideri che continuamente si srotola nel suo e nel nostro cevello e che come un ronzio ci assicura che esistiamo. È questo ronzio quello che abbiamo di piú nostro, di piú personale, di piú simile ad una Io permanenente.

In queste poche righe di annotazione possiamo cogliere la tenerezza infantile del desiderio di un mondo di favole e di leggende, forse un appena un bagliore della strana convinzione di Gramsci di essere di origine albanese, la nostalgia della Sardegna arcaica, proprio quando anche la sua infanzia si fa per lui aracaica e il passato della terra leggendaria e della biografia perduta il solo orizzonte possibile.


L'isolamento delle rovine delle vecchie chiese è il correlativo simbolico dell'isolamento carcerario del suo corpo, anch'esso appunto segregato e in rovina.

Gramsci sente il suo corpo come il tempio, come il recinto del sacro nella sola forma in cui a lui è dato sentirlo.


Tutto questo nellinfinita noia dolente, nell'agonia ovattata di un pomeriggio carcerario.


genseki

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